Il pensiero di Kant

Il pensiero di Kant
Il primo fondamentale problema che vuole risolvere il pensiero di Kant è quello di identificare le condizioni che danno all'uomo la possibilità di raggiungere una conoscenza valida sia nel campo delle nuove scienze della natura sia in quelle tradizionali della metafisica, dell'etica, della religione e dell'estetica. « Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti:
Che cosa posso sapere?
Che cosa posso fare?
Che cosa ho diritto di sperare? »
Nella matematica e nella fisica l'uomo esprime giudizi universali e necessari superando i limiti dell'esperienza sensibile. L'illuminismo aveva visto in questo il segno evidente di ciò a cui può giungere la ragione ma lo scetticismo di Hume aveva però contestato i fondamenti teorici della moderna scienza galileiana e newtoniana. Occorreva quindi giustificare le sue basi teoriche e identificare i fondamenti filosofici che rendono possibile per l'uomo superare i dati empirici immediati, limitati e contingenti, per arrivare a conoscenze universali e necessarie. La metafisica era giunta alla conclusione di potersi porre come una vera scienza in quanto come questa, ma svincolandosi da ogni esperienza sensibile, era in grado di offrire all'uomo verità certe. Kant si domanda se questo avventurarsi della ragione oltre i limiti dell'esperienza sia possibile per risolvere i problemi di Dio, dell'immortalità dell'anima, di leggi morali ed estetiche universali. Kant è convinto in base alla mentalità illuministica del suo tempo che tutte queste problematiche possano risolversi sottoponendole all'esame critico della ragione:
« La nostra epoca è la vera e propria epoca della critica cui tutto deve sottomettersi. La religione mediante la sua santità e la legislazione mediante la sua maestà vogliono di solito sottrarsi alla critica. Ma in tal caso esse suscitano contro di sé un giusto sospetto e non possono pretendere un rispetto senza finzione, che la ragione concede soltanto a ciò che ha potuto superare il suo esame libero e pubblico. »

Le fasi del pensiero kantiano
La filosofia di Kant si può dividere in due grandi momenti: il periodo definito "precritico", che arriva fino alla "gran luce" del 1769, propedeutica alla pubblicazione della Dissertatio nel 1770 e il periodo cosiddetto "critico", (dal 1771 al 1790) che comprende: la Critica della ragion pura (1781), la Critica della ragion pratica (1788) e la Critica del Giudizio (1790), precedute da una notevole serie di opere minori scritte in età giovanile. In seguito Kant si orientò sempre di più verso gli interessi teologici e di questo periodo sono due opere fondamentali del suo pensiero maturo: La religione nei limiti della semplice ragione, del 1793, e La metafisica dei costumi, del 1797. Segue nel 1798 L'antropologia dal punto di vista pragmatico e altre opere minori. Durante la fase pre-critica Kant mantiene un pensiero filosofico che oscilla fra il Razionalismo e l'Empirismo di Hume al quale Kant riconosce il merito di averlo svegliato dal "sonno dogmatico" quando "sognava" e credeva al dogma che la metafisica potesse offrire una vera conoscenza:
« L'avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal sonno dogmatico e dette un tutt'altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa. » Attraverso quella che definì una rivoluzione copernicana Kant aprirà una nuova era per la filosofia indirizzata a ricercare la verità abbandonando la metafisica puntando lo sguardo sulle cose terrene così come per conoscere la verità Copernico la ricercò non nel moto apparente dei cieli ma in quello reale della Terra. Nel 1770 pubblica infatti la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, comunemente detta Dissertazione, che lascia intravedere i primi originali sviluppi della nuova filosofia critica kantiana. La Dissertazione segna pertanto una tappa fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero, e può essere vista come una sorta di "trait d'union" tra la vecchia filosofia e la nuova filosofia critica che Kant delineerà compiutamente, ben dodici anni dopo, con la Critica della ragion pura nel 1781.

Critica della ragion pura
Il tema principale trattato da Kant nella Critica della ragion pura è quello della conoscenza e della correlazione sussistente tra metafisica e scienza. Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e la metafisica, in quanto aspirazione naturale a verità definitive, che la fa ingannevolmente concepire come una scienza. Lo strumento per risolvere questi problemi è indicato nello stesso titolo dell'opera:
Critica = Analisi
Della = sta ad indicare sia la critica operata dalla ragione sia quella della stessa ragione
Ragione = come facoltà razionale in senso lato
Pura = perché condotta e analizzata indipendentemente dall’esperienza tradizionalmente riferita alla materia impura.
L'attività conoscitiva della ragione, analizzata indipendentemente dall'esperienza sensibile, comporta allora un esame condotto secondo i canoni della Logica formale tradizionale. La conoscenza nella Logica avviene tramite il giudizio che corrisponde all'unione di un predicato e un soggetto tramite una copula. Vi sono tre tipi di giudizi: quelli analitici a priori, i giudizi sintetici a posteriori e i giudizi sintetici a priori.

Il giudizio analitico a priori
I giudizi analitici a priori sono tautologici perché affermano solamente ciò che è già noto e quindi non danno alcuna informazione aggiuntiva, sono universali e necessari ma non ampliano la conoscenza. L'esempio kantiano «Il triangolo ha tre angoli» è un giudizio analitico. Se io analizzo, scompongo il soggetto (triangolo) vedo che esso è costituito da diverse caratteristiche connesse col concetto stesso di triangolo: ha tre angoli, ha tre lati. Di queste caratteristiche, che conosco senza averne fatto esperienza (a priori), ne metto in evidenza una (ha tre angoli) nel predicato dove dunque non si dice niente di nuovo rispetto al soggetto. Un giudizio analitico può, semmai, aiutare a comprendere più facilmente i concetti impliciti contenuti in un soggetto ma non dà nuove informazioni e non ha un carattere produttivo; è però universale, vale per tutti gli uomini dotati di ragione, e necessario, una volta affermato non può più essere negato. Se dico che il triangolo ha tre angoli rimarrò fisso per sempre a quest'affermazione. Questo è il tipo di giudizio usato dai razionalisti.

Il giudizio sintetico a posteriori
Il giudizio sintetico accresce il mio conoscere, aggiungendo qualcosa di nuovo. Nel giudizio sintetico, così chiamato perché si può pronunciare in sintesi, in unione con l'esperienza, la connessione fra soggetto e predicato viene pensata "senza identità": il predicato contiene qualcosa di nuovo che non è compreso nel concetto del soggetto, come nell'esempio "alcuni corpi sono pesanti". Infatti alcuni corpi sono pesanti altri leggeri. Il fatto cioè che certi corpi siano leggeri non è compreso nel soggetto "corpi". L'elemento nuovo della "leggerezza" si potrà riscontrare solo dopo averne fatto esperienza. Si ricordi che l'esempio kantiano si rifà ad Aristotele, per il quale alcuni corpi - terra e acqua - sono per natura pesanti, mentre altri - aria e fuoco - sono per loro natura leggeri. Il predicato, nel giudizio sintetico, è collegato al soggetto in forza dell'esperienza: i giudizi sintetici sono dunque a posteriori, si possono pronunciare solo dopo aver fatto esperienza e per questo essendo collegati alla sensibilità non hanno universalità e necessità ma sono estensivi della conoscenza. Questo è il tipo di giudizio usato dagli empiristi.

Il giudizio sintetico a priori
Il giudizio sintetico a priori è un giudizio che, pur ampliando la conoscenza, perché aggiunge qualcosa di nuovo nel predicato, che in questo caso non è implicito nel soggetto (come nei giudizi analitici), presenta i caratteri di universalità e necessità, perché non deriva dall'esperienza (infatti è a priori). L'esempio kantiano di 7 più 5 uguale 12 mostra come il predicato (dodici) non è compreso, come nei giudizi analitici, nel soggetto, ma c'è qualcosa di più: il rapporto di addizione che in 5 e in 7 presi di per sé non hanno. Dunque questo giudizio per un verso non dipende dall'esperienza, e quindi è necessario e universale, e per altro verso nel predicato dice qualcosa che non era contenuto nel soggetto e quindi è estensivo della conoscenza. I giudizi sintetici a priori sono i fondamenti su cui poggia la scienza poiché accrescono il sapere (in quanto sintetici), ma non necessitano di essere riconfermati ogni volta dall'esperienza perché universali e necessari. In questo caso Kant ha una posizione nettamente distinta da quella di Hume, in quanto il filosofo scozzese, essendo empirista, riterrebbe necessaria ogni volta una conferma giacché a suo parere non si sarebbe in grado di dire che le cose in futuro non potrebbero cambiare.

La conoscenza umana
Giunto a questo punto Kant stabilisce un nuovo sistema conoscitivo per determinare da dove arrivino i giudizi sintetici a priori, se questi non derivano dall'esperienza. Questa nuova teoria della conoscenza è una sintesi di materia (empirica) e forma (razionale e innata). La materia è «la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza». La forma invece è la legge che ordina la materia sensibile indipendentemente dalla sensibilità. In questo modo la realtà non modella la nostra mente su di sé, ma è la mente che modella la realtà attraverso le forme tramite cui la percepisce. La realtà come ci appare in base alle forme a priori è il fenomeno, mentre la realtà in sé, così com'è, è indipendente da noi ed è inconoscibile. Kant definisce quindi la conoscenza come ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui percepiamo i fenomeni e poggia su due forme a priori, lo spazio e il tempo. L'intelletto è invece la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso la quale cerchiamo di spiegare la realtà oltre il limite dell'esperienza tramite le tre idee di anima, mondo e Dio, ossia rispettivamente, la totalità dei fenomeni interni, la totalità dei fenomeni esterni e l'unione delle due totalità. Su questa tripartizione del processo conoscitivo si articola la Critica della ragione pura suddivisa in dottrina degli elementi e dottrina del metodo. La prima si occupa di studiare le tre facoltà conoscitive tramite l'estetica trascendentale (sensibilità) e la logica trascendentale, a sua volta suddivisa in analitica (intelletto) e dialettica (ragione).

Estetica trascendentale
Kant usa il termine "estetica" intendendo il suo significato etimologico: aisthesis in greco significa "sensazione", "percezione". Infatti, in questa parte della Critica, Kant si occupa della sensibilità e delle sue forme a priori. La sensibilità svolge due ruoli nel processo conoscitivo. Il primo di questi è recettivo (passivo) ed è il procedimento attraverso cui prende i propri contenuti dalla realtà esterna. In seguito la sensibilità svolge il suo secondo ruolo (attivo) e cioè riordina le informazioni empiriche tramite le forme a priori. Queste sono lo spazio e il tempo. Lo spazio è la forma del senso esterno e si occupa dell'intuizione della sola disposizione delle cose esterne. Il tempo è la forma del senso interno e regola la successione delle cose interne.

La Critica della ragion pratica
Contrapposta alla ragione teoretica è la ragione pratica. Una volta negata la possibilità di una comunione universale, di un "mondus intelligibilis" (Kant non può che distinguere, secondo l'analisi eseguita sulla ragion pura, il mondo in fenomeno e cosa in sé), viene introdotta l'ipotesi di un'unità morale. La morale che propone Kant è uno studio sul giusto agire degli uomini che non prescinde dalle regole dettate dalla ragione, ossia l'etica per essere giusta deve seguire i percorsi della ragione, ed è pur sempre ragione, non teoretica, ma pratica. In particolar modo Kant introduce il concetto di imperativo categorico, ovvero un comportamento è da considerare morale in modo categorico "senza possibilità di smentita" quando è universalmente riconosciuto, giusto in ogni momento e in ogni situazione umana. Questo comportamento diventa allora vincolante per la morale di tutti gli uomini, e una sua mancata applicazione significherebbe azione immorale. L'idea è che l'uomo possa farsi guidare dalla ragione non solamente nel campo delle scienze ma anche nel campo della pratica morale dell'etica. In particolare l'imperativo categorico che deve guidare l'uomo come necessità volontaria non è una costrizione ma un aderire a una legge razionale che l'uomo stesso ha formulato per mezzo della propria ragione.

La Critica del giudizio
La critica del giudizio analizza il sentimento attraverso una visione finalistica. I giudizi sentimentali costituiscono il campo dei giudizi riflettenti, i quali si limitano a riflettere su una natura già costituita mediante i giudizi determinanti e a interpretarla secondo le nostre esigenze di finalità e armonia. Mentre i giudizi determinanti sono oggettivamente validi, quelli riflettenti esprimono un bisogno che è tipico di quell'essere finito che è l'uomo. La critica del giudizio quindi è un'analisi dei giudizi riflettenti. I giudizi riflettenti sono di due tipi: estetici e teleologici, ed entrambi ci pervengono a priori. I giudizi estetici vengono vissuti immediatamente e intuitivamente dalla nostra mente in relazione con l'oggetto e riguardano la bellezza dell'oggetto. È il sentimento che ci pervade quando rimaniamo estasiati dal bello. Questo è la chiave che la natura ci offre per farci scoprire, attraverso il simbolo della bellezza naturale, la sua finalità morale e la realtà di Dio, sommo Bene:
« Il bello è il simbolo del bene morale » (Immanuel Kant, Critica del giudizio, 1790)
I giudizi teleologici invece pervengono al fine dell'oggetto in relazione al mondo attraverso un ragionamento. Per esempio riflettendo sullo scheletro di un animale diciamo che esso è stato prodotto al fine di reggere l'animale. Il giudizio teleologico è il sentimento che ci pervade quando avvertiamo un'intima consonanza tra i fenomeni della natura e le nostre finalità etiche.

La libertà politica
Il Diritto
Secondo Kant, il diritto è «l'insieme delle condizioni, per mezzo delle quali l'arbitrio [intendendosi per «arbitrio» la facoltà del consociato di desiderare e conseguire il suo oggetto] dell'uno può accordarsi con l'arbitrio di un altro secondo una legge universale della libertà». La libertà di ognuno coesiste con la libertà degli altri. Ovviamente l'uomo kantiano non può non avere bisogno di un padrone, data la facilità con cui cede all'istinto egoistico. Ma il padrone non è un altro uomo, bensì il diritto stesso. Kant analizza l'uomo e in lui trova una tendenza egoistica, ovverosia una "insocievole socievolezza". « Ogni cultura e arte, ornamento dell'umanità, e il migliore ordinamento sociale sono frutti dell'insocievolezza, la quale si costringe da sé a disciplinarsi e a svolgere quindi compiutamente con arte forzata i germi della natura » (Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, 1784). Alla fine dunque gli uomini tendono a unirsi in società, ma con una riluttanza a farlo davvero, con il rischio di disunire questa società. In poche parole: si associano per la propria sicurezza e si dissociano per i propri interessi. Ma è proprio questa conflittualità a favorire il progresso e le capacità del genere umano, perché lottano per primeggiare sugli altri, come gli alberi: «si costringono reciprocamente a cercare l'uno e l'altro al di sopra di sé, e perciò crescono belli dritti, mentre gli altri, che, in libertà e isolati fra loro, mettono rami a piacere, crescono storpi, storti e tortuosi».

La libertà e i limiti dello Stato
Kant non ignora affatto le tesi lockiane sul liberalismo, perché anche lui afferma che lo Stato mira a garantire la libertà di ogni persona contro chiunque altro. Lo "Stato repubblicano" che delinea si basa su "Tre principi della ragione":
- La Libertà (in quanto uomo).
- L'Uguaglianza di tutti quanti di fronte alla legge (in quanto sudditi).
- L'Indipendenza dell'individuo (in quanto cittadino).
Questa visione dello Stato va in conflitto con un qualsiasi dispotismo presente, anche paternalistico. Contrariamente all'ammirazione dei filosofi a lui contemporanei per i cosiddetti sovrani illuminati Kant diffida della politica che ha come guida l'uso della forza:
« Non c'è da attendersi che i re filosofeggino o che i filosofi diventino re, e neppure è da desiderarlo, perché il possesso della forza corrompe il libero giudizio della ragione »
(Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795)
Secondo Kant infatti, «un governo paternalistico è il peggiore dispotismo che si possa immaginare», dato che costringe i sudditi ad attendere che il capo dello Stato giudichi solo mediante la sua bontà. C'è solo una soluzione a questo problema: «essere liberi per poter esercitare le proprie forze nella libertà».

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